domenica 21 giugno 2015
Lettura dal vangelo secondo Matteo (Mt. 22,1-14)
In quel tempo, Gesù,
riprese a parlare con parabole e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Noi coniugi sappiamo fin troppo bene, per
esperienza, che cosa sia preparare una festa di nozze: l’ansia che tutto riesca
bene dalla celebrazione in chiesa al banchetto di nozze nel ristorante, l’ansia
che gli invitati rispondano per tempo senza defezione dell’ultimo momento,
l’ansia del vestito da scegliere, da provare, ma, soprattutto, che susciti
ammirazione.
Ansie che il nostro Dio, da sempre, vive e
che la parabola delle nozze evoca per nostra consolazione e per nostro impegno.
E’ consolante che il nostro Signore abbia
sognato di vivere con la nostra umanità un rapporto di amore sponsale, non
quindi di sudditanza, nè padronale, nè tanto meno patriarcale, ma un rapporto
di vicendevole e mutuo dono di appartenenza amorosa.
E’ consolante pensare che noi coniugi
nella nostra vicendevole relazione di amore siamo stati chiamati ad essere
segno visibile di questo sogno amoroso di Dio per l’umanità tutta. Sogno che,
tuttavia, fatica a realizzarsi perché, seppur tutti gli uominisono sono chiamati
ad esserne la sposa, solo in pochi cercano di incarnarlo.
E’ consolante pensare che Dio-Padre abbia
trasmesso a suo Figlio Gesù questa sua stessa passione sponsale e che abbia
chiamato la comunità dei credenti (la chiesa, l’ecclesia=la chiamata) ad
esserne la sposa amata che riama.
E’ consolante pensare che noi coniugi siamo
sacramento, segno visibile dell’unione sponsale di Cristo con la chiesa attraverso
la nostra testimonianza quotidiana di amore sponsale.
E’ consolante ma soprattutto impegnativa
questa testimonianza. La nostra vita coniugale è una vocazione, una missione. È
una chiamata a dare il primato alla dimensione sponsale, ad un’autentica
dimensione spirituale: stare insieme per amore, far dialogare i nostri cuori,
le nostre menti, i nostri corpi con il linguaggio e i ritmi dell’amore, della
tenerezza, dell’aiuto, del perdono.
E’ impegnativo, è lottare perchè l’affanno
per il mangiare e il bere non diventi la molla per “andare al proprio campo”,
per “ andare al proprio emporio”, alla propria attività commerciale
“incuranti” della chiamata ad essere una sola carne e non più due.
E’ lottare per non soffocare la voce
dell’ Altro (=Dio), dell’altro partner che ci chiede di dedicargli tempo,
energie, attenzioni.
E’ lottare per non sopprimere la propria
voce interiore che ci ri-chiama alla costitutività della dimensione di amore
per essere persona umana aperta alla relazione interpersonale con l’atro/a.
E’ lottare perchè il tran-tran della
quotidianità non logori il vestito nuziale e trovarci nudi di parole, legate le
mani carezzevole, legate i piedi recanti richieste di perdono e rivestiti
di pianti amari per le umiliazione ricevute e rivestiti di rabbia che fa
stridere i denti:
E’ bello amarci coniugalmente per essere
felici: la chiamata alla felicità è aspirazione universale,noi coniugi,
sollecitati dalla parabola di Gesù vogliamo essere quegli eletti che chiamati a
vivere l’amore sponsale come Lui facciamo morire l’ “ego” perchè nasca il “ tu”
che genera il “noi”sponsale.